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a cura di D.Giansanti

L'ARRIVO DI CECH IN BOEMIA

Sarà per sempre il cantore Lumír, suonando la sua arpa, a ricordare alle genti dei Cechi la storia dei loro padri e dei loro antenati, di come giunsero nella terra cèca e la abitarono.

Gli Slavi presero origine nelle vaste pianure boscose oltre i monti Tatra. Là, in tempi antichissimi, ebbero origine comune le numerose stirpi di questo grande ceppo, affini per lingua e costumi, ma divise da lotte intestine tra le varie tribù.

Fu così che due fratelli di una potente famiglia, entrambi insigniti della dignità di vojvoda, decisero di abbandonare la terra natia, dilaniata da tante contese. - Andremo alla ricerca di una nuova terra, ove i nostri figli possano vivere nella concordia e nella pace.

Convocate le loro tribù, sacrificarono agli dèi, presero le immagini degli antenati, i dedki, e salutata la terra dei padri, si misero in cammino. Li guidavano i due fratelli Cech e Lech.

Le tribù attraversarono l'Oder e l'Elba, e giunsero nella valle della Moldava. Qui, gli uomini cominciarono a protestare, esclamando che quel viaggio non aveva mai fine, e pretesero di fermarsi. Così Cech indicò un alto monte azzurro proponendo di arrivare fin laggiù. Era il monte Ríp. Alle prime luci dell'alba, Cech salì sul monte, ancora immerso nella semioscurità, e sotto vide l'immensa foresta boema. Gli esploratori riferirono che le acque erano pescose e il suolo fecondo e ospitale. Non vi abitavano uomini, ma solo gli esseri soprannaturali della natura selvaggia. Allora Cech si rallegrò. Riunì il suo popolo e disse:

- Ora sono finite le nostre tribolazioni. Ecco la terra che cercavamo e che gli dèi hanno preparato per noi: qui affonderemo le nostre radici. A questa terra manca solo un nome: pensateci e sceglietelo.

E il popolo gridò: - Il tuo! Che questa terra porti il tuo nome!

Cech si chinò e baciò la terra, e quando l'ebbe baciata si alzò in piedi e la benedisse. Quindi posò al suolo le immagini dei dedki che avevano portato con sé lungo il viaggio, le svolse dal lino, e accese un grande falò. Vennero fatti sacrifici agli dèi: a Perun che abbatte la folgore, a Veles che governa i morti, a Vesna dea della primavera, Kupalo dio dell'estate, Morana dea dell'inverno.

E fu così che quella terra prese il nome di Cechìa, e Cèchi si chiamarono i suoi abitanti.

I Cèchi si stabilirono nell'ampia regione presso il monte Ríp, abbatterono gli alberi e dissodarono i campi. E là costruirono le loro case.

PARTENZA DI LECH

Dopo un po' di tempo, Lech, fratello minore di Cech, decise di proseguire il viaggio per proprio conto alla ricerca di nuove terre. Preso atto del suo desiderio, Cech e il popolo tutto gli dissero addio, sia pure a malincuore, con la raccomandazione di non allontanarsi troppo, in modo che i due fratelli e la loro gente potessero recarsi vicendevole soccorso nell'eventualità di un'improvvisa aggressione.

Così disse Lech: - Fratelli, figli della terra dei Cèchi! Non dimenticherò mai di essere sangue del vostro sangue, né intendo allontanarmi tanto ch'io non sappia nulla di voi. Vi farò sapere dove prenderò dimora. Il terzo giorno dopo la nostra partenza salite sul monte Ríp prima che spunti l'alba; io farò accendere un gran fuoco, e dove scorgerete il fumo, quella sarà la nostra nuova sede.

il giorno convenuto, prima del sorger del sole, i Cèchi salirono sul monte Ríp e si guardono intorno da tutti i lati, finché videro in lontananza una colonna di fumo. Laggiù si era stabilito Lech. Da lui prese nome la Polonia, e Polacchi si chiamarono coloro che erano andati con lui.

STORIA DI KROK

Scudiero di Cech era il giovane Krok, pieno di ardore e di coraggio, sano e robusto. A lui erano stati affidati i cavalli del suo signore. Li portava al pascolo ogni giorno in un luogo ameno ai piedi di una bella quercia e lì trascorreva le sue giornate. Ora, quella quercia, era la dimora di una lesní panny, la ninfa dell'albero, che ogni giorno spiava tra le fronde il giovane uomo. Quando Krok dormiva, in un giaciglio ai piedi della quercia, la ninfa gli mandava sogni piacevoli, rivelandogli talvolta ciò che sarebbe successo l'indomani, o magari dicendogli dove ritrovare un cavallo smarrito nella nebbia.

Intanto, il popolo di Cech continuava a tagliare alberi per creare pascoli e procurarsi legna, e la ninfa temette che ben presto sarebbero arrivati alla sua quercia. Così, una notte d'estate, mentre Krok si era attardato nei pascoli, ella gli comparve sulla riva di un laghetto. Dinanzi a quella pallida apparizione, Krok ne fu stupito e forse un po' impaurito. Ma la ninfa gli disse:

- Non temere, giovane uomo, io sono lo spirito dell'albero sotto i cui rami fronduti tu trovi riposo. Ti cullai in dolci sogni, aiutandoti con visioni del futuro. Contraccambia i miei favori con quanto ti chiedo: sii il difensore di quest'albero che ti ha protetto sovente dal sole e dalla pioggia, e non permettere alla scure dei tuoi fratelli di infierire contro il suo venerabile tronco. Vedi, la mia vita è legata a quest'albero. Se esso fosse abbattuto, la mia vita finerebbe.

- Signora, - rispose Krok, - chiedimi ciò che vuoi ed io adoprerò tutte le mie forze per aiutarti.

Per adempiere al suo voto, Krok si dimise dal ruolo di scudiero e si stabilì all'ombra dell'albero che si era incaricato di difendere. Costruì una casa accanto alla quercia e la difese ogni volta che qualcuno si avvicinava per tagliarla.

Dopo qualche tempo, la ninfa ricomparve e lo ringraziò di quanto aveva fatto. Ella strappò una canna dalla palude, la ruppe in tre parti e ne piantò i pezzi al suolo. - Scegli una di queste tre verghe. La prima racchiude onore e gloria, la seconda la ricchezza, la terza la felicità in amore.

Krok scosse il capo. - Non desidero nessuna di queste tre cose. Il mio cuore mira a qualcosa di più grande. Esaudisci il mio desiderio di riposare all'ombra della tua quercia per trovarvi ristoro, e permettimi di ascoltare dalle tue dolci labbra quei saggi insegnamenti che mi permettano di decifrare i segreti del futuro.

La ninfa annuì. - Quanto desideri è molto, ma cada dunque la benda dai tuoi occhi umani: il saggio è un essere superiore perché assapora il nettare dell'amore senza avvelenarlo con labbra impure.

E così, tutte le notti, la ninfa visitava Krok, e i due s'incamminavano nell'intimità della sera. Ella gli mostrava i segreti della natura, gli rivelava l'origine e l'essenza delle cose, gli spiegava le loro proprietà naturali e magiche. Fu così che tra la ninfa offrì a Krok tutta sé stessa e divenne la sposa di Krok.

Da quel matrimonio segreto nacquero tre figlie: Kazi, Tetka e Libuša, belle e sagge come la loro madre. Kazi era maestra nalla scienza delle erbe, di cui conosceva tutti i segreti. Tetka era in grado di controllare il tempo atmosferico. Libuša aveva il dono della profezia e vedeva nel futuro.

Passarono gli anni, e Krok viveva isolato nella foresta, e la gente lo guardava con un po' di perplessità, anche se ammirava le sue doti di saggio e di veggente. Se qualcuno cercava del bestiame disperso, si rivolgeva a Krok, che indicava dove cercarlo. Se vi era stato un furto o un omicidio, Krok convocava gli abitanti del villaggio e indicava immancabilmente il colpevole. Addirittura era in grado di guarire dalle malattie uomini e animali. Così la sua fama crebbe e con la fama crebbe la sua ricchezza.

Un giorno, dopo diversi anni, la quercia finì col seccarsi, divorata dagli insetti, e la ninfa morì. Così Krok costruì un castello sulla riva destra della Moldava. La fortezza di Vyšehrad era di legno, circondata tutt'intorno da solide mura, e si ergeva su una roccia lambita alla base dalle onde inquiete del fiume.Krok prese con sé le tre figlie e là si stabilì.

Trent'anni dopo l'arrivo dei Cèchi in quella terra, Cech morì. Allora Krok fu eletto sovrano al suo posto, e il suo regno fu lungo e giusto.

Fu così che Krok, grazie alla sua accortezza, ebbe tutti e tre i doni della ninfa: onore e gloria, ricchezza, e felicità in amore.



PREMYSL

C'era, tra le genti arrivate con Cech, un vecchio cavaliere di nome Mnat', che si era stabilito in una zona boscosa nei pressi del villaggio di Stadice, l'aveva bonificata e ne aveva ricavato un podere, dove adesso viveva del ricavato dei campi. Un giorno un vicino s'impadronì di quel podere e cacciò il cavaliere. Questi aveva un figlio: un giovane forte e robusto di nome Premysl. Il ragazzo avrebbe voluto opporsi all'ingiusta prepotenza, ma il padre, che temeva di perderlo in una faida, gli disse:

- Figlio mio, va' dal saggio Krok o dalle sue figlie dotate di acume e intelligenza, e chiedi se gli dèi sono favorevoli alla tua impresa. In caso affermativo, cìngiti di spada, prendi la lancia e combatti. In caso negativo, resta qui finché non mi avrai chiuso gli occhi, poi farai ciò che vuoi.

Il giovane partì ma giunto che fu al Vyšehrad, scoprì che Krok era assente: si era recato dalle genti di Lech per ricomporre un dissidio.

Così Premysl decise di rivolgersi alle sue figlie e si portò a Kazín, dove abitava Kazi. Kazi era una donna bella e sprezzante, che sapeva ben usare la magia e adorava il potere che le dava. Poiché Premysl non aveva di che pagare, venne messo alla porta.

Premysl andò allora alla casa di Tetka. Tetka era forse meno arrogante della sorella, ma era comunque capricciosa e lunatica, e pretendeva di essere ammirata e corteggiata. Anche qui, non avendo di che pagare, Premysl fu nuovamente cacciato.

Premysl riprese la strada del ritorno, ben sicuro che la terza sorella non gli avrebbe dato accoglienza migliore. Ma mentre camminava lungo il fiume udì uno scalpitare di cavalli. Apparve un cervo in fuga nella macchia inseguito da una bellissima cacciatrice e dalle sue damigelle. La fanciulla scoccò un dardo senza però cogliere l'animale. Allora Premysl trasse l'arco dalla spalla e vibrò a sua volta una freccia: il cervo crollò al suolo.

La ragazza si fermò, incuriosita. Riconoscendo Libuša, Premysl si mostrò. Libuša lo guardò dall'alto del suo cavallo e domando: - Dimmi, straniero, chi sei e quale coincidenza ti conduce qui?

Premysl si presentò e con discrezione espose a Libuša il suo problema, senza nasconderle di essere stato cacciato dalla casa delle sue sorelle, cosa che lo aveva profondamente avvilito. Ella annuì e gli disse:

- Seguimi nella mia dimora, a Libusín. Interrogherò per te il libro del destino, e domani ti darò il responso.

Il giovane ubbidì di buon grado e l'ospitalità di Libuša fu davvero molto generosa. La padrona di casa, poi, era incantevole e affascinante. Quando fu l'ora, ella si ritirò nelle sue stanze e si addormentò, poiché il dono della profezia la visitava nei sogni.

Ma quella notte, in sogno, non faceva che comparire il viso di Premysl.

Così Libuša gli chiese di fermarsi un'altra notte, e poi un'altra, e un'altra ancora.

Il quarto giorno Libuša chiamò Premysl e gli disse: - Gli dèi non vogliono che tu competa con un uomo troppo potente. Soffrire e sopportare è destino dei più deboli. Torna da tuo padre, sii la consolazione della sua vecchiaia e provvedi a lui col lavoro dei campi. Prendi in regalo due tori bianchi dalla mia mandria e questo bastone per guidarli. Un giorno questo bastone fiorirà e darà frutti, e lo spirito della divinazione si poserà su di te.

Il giovane, un po' deluso, accettò i doni di Libuša. I tori erano splendidi e bianchi, e col bastone in pugno, il giovane salutò la fanciulla e tornò da suo padre.


IL FORTE BIVOJ

Una sera, Libuša e sua sorella Kazi erano dirette al Vyšehrad, con un seguito di donne e una buona scorta, quando scorgero lungo la strada un uomo che ben conoscevano, che abitava in un villaggio poco distante. L'uomo si chiamava Bivoj ed era giovane e piacente, oltreché forte e dal cuore coraggioso.

Verso sera le sorelle arrivarono al castello e scesero da cavallo che sul terreno già si spandevano le lunghe ombre della sera. Salirono sugli spalti dietro le mura e guardarono giù verso la Moldava, e poi oltre il fiume, dove i boscosi pendii di Petrín esalavano un forte profumo muschioso.

In quel mentre dall'altra estremità del cortile si levò un brusio eccitato. Libuša e Kazi si volsero a guardare e videro avvicinarsi una folla di uomini. In mezzo al loro si trovava il forte Bivoj, il quale reggeva un enorme cinghiale che egli aveva sopraffatto a mani nude nel bosco paludoso. Lo teneva per le orecchie e lo portava con il dorso setoloso premuto contro la propria schiena.

La folla gridava il nome del giovane, grata per quel gesto straordinario, ché il gigantesco cinghiale già da molte settimane causava danni ai contadini nei campi e nessuno era mai riuscito a ucciderlo. Bivoj portò il suo fardello dinanzi alle due sorelle. Lo sguardo di Libuša brillò d'orgoglio all'idea che tra i Cechi potesse esserci un uomo così valoroso, ma lo sguardo di Kazi brillò di passione e dolcezza.

Bivoj scaricò a terra il cinghiale, e non appena l'animale si scagliò contro di lui, senza nemmeno muoversi d'un passo, sollevò la lancia e lo trafisse. Il cortile del castello si riempì di mormorii di ammirazione.

Libuša ordinò alla sorella di approntare un banchetto in onore del giovane Bivoj, e insieme a Kazi andò poi a cercare nel tesoro di Krok un dono per il vincitore: una cintura ornata di borchie d'oro, che Kazi stessa affibbiò alla vita del giovane.

E venne la notte, e i fuochi ardevano e su di essi arrostivano la carne del cinghiale. Gli uomini si vantavano delle loro imprese, rievocando cacce e battaglie e vecchie leggende. Soli, discosti dal dai rumorosi discorsi, stavano Kazi e Bivoj e discorrevano piano tra loro. Il giorno seguente, all'alba, Kazi prese congedo da Libuša e lasciò il Vyšehrad. Era diretta a Kazín e Bivoj cavalcava accanto a lei.

UNO SPOSO PER LIBUŠA

Trascorsero molti anni. Il vecchio Krok morì e gli fecero una bara con il legno della vecchia quercia che per tanto tempo aveva protetto. L'intero popolo lo pianse. Quando fu il momento di pensare al futuro, i capitribù dei Cechi si riunirono in consiglio per decidere chi sarebbe stato il nuovo sovrano. Tuttavia non v'era nel paese nessuno che sembrasse all'altezza di Cech e di Krok, e si levarono accanite discussioni. Alcuni proposero di scegliere tra le tre figlie di Krok, e in tal caso la preferita era Libuša, che di tutte era la più amata e assennata. Ma altri protestarono, perché non intendevano essere governati da una donna.

Chiamarono dunque Libuša, e sapendo che lei era una profetessa, le proposero di scegliersi un marito: lui sarebbe stato il nuovo sovrano. Due valenti signori avevano già chiesto la mano di Libuša: il nobile Vladomir e il cavaliere Mizysl. Essi sarebbero stati ben lieti di sposare la duchessa, ma Libuša non amava né l'uno né l'altro, ché li giudicava vanesi e inutilmente violenti.

Sembrava che Libuša non giudicasse nessuno degno di lei, così i capitribù, un po' irritati, le chiesero da quale paese avrebbero dovuto prendere il loro nuovo signore. Libuša replicò che non avrebbe mai accettato un principe straniero. I capitribù allora le diedero tre giorni per scegliersi uno sposo.

La mattina del terzo giorno, Libuša giunse al cospetto dell'assemblea e disse:

- Nobili capotribù della terra dei Cèchi: scegliete tra di voi dodici rappresentanti pronti a partire alla ricerca del mio sposo. Li guiderà il mio bianco destriero. Libero e senza cavaliere, esso galopperà dinanzi a voi, finché giungerà a un uomo che mangerà su un tavolo di ferro, all'ombra di un albero solitario. Gli renderete omaggio e lo rivestirete come si addice a un principe. Il cavallo lo prenderà su di sé e lo condurrà qui, dove egli sarà mio sposo e vostro sovrano.

Con ciò Libuša sciolse l'assemblea. Non pochi rimasero stupiti da questo discorso, tuttavia fecero come lei aveva detto. Bardarono sfarzosamente il cavallo e lo lasciarono libero di andare dove volesse. I dodici rappresentanti seguirono il cavallo per molte miglia, finché, dopo aver lungo girovagato, giunsero al villaggio di Stadice. Dopo aver attraversato un campo arato di fresco, il cavallo si fermò all'ombra di un pero. Lì sedeva un contadino, intento a mangiare pane nero. Il vomere di ferro dell'aratro gli serviva da tavolo. I messi compresero che lui era il predestinato, gli si avvicinarono e dissero:

- Libuša figlia di Krok ti manda questo messaggio: è volere degli dèi che tu abbandoni l'aratro e la frusta per prendere possesso del regno. Ti sceglie come suo sposo: con lei regnerai sul popolo cèco.

Premysl, perché era proprio lui il contadino, pensò dapprincipio che gli stessero tirando uno scherzo, ma poi si ricordò della sua visita a Libuša. Erano passati molti anni, ma forse, pensò, Libuša aveva già visto tutto questo nei suoi sogni. Allora Premysl afferrò il bastone che lei gli aveva donato e lo conficcò al suolo. D'incanto il bastone germogliò e mise rami con foglie e fiori. Due rami appassirono, il terzo crebbe robusto e i suoi frutti maturarono. Allora lo spirito profetico scese su di lui e Premysl disse:

- Eccomi, l'uomo che guida l'aratro è destinato a prendere in mano le redini del regno. Ahimé, se l'aratro avesse scavato i suoi solchi fino alla pietra di confine, la Cechìa sarebbe rimasta per sempre un regno indipendente! Troppo presto mi avete distolto dal mio lavoro, per cui i confini del regno non saranno mai sicuri e il paese sarà un giorno governato dallo straniero. I tre rami verdi predicono alla vostra sovrana tre figli; due germogli immaturi appassiranno, ma il terzo darà frutti e la sua discendenza renderà il nostro regno glorioso nel mondo.

Allora Premysl sganciò i buoi dall'aratro e quelli svanirono dolcemente nell'aria. Si tolse gli zoccoli da contadino, si lavò nel ruscello, e i messi lo vestirono suntuosamente. Quindi Premysl balzò a cavallo e insieme tornarono alla fortezza di Vyšehrad.

Il popolo accolse l'uomo destinato ad essere duca con curiosità e perplessità. Premysl era un uomo giovane e piacente, e il suo volto era saggio e modesto a un tempo. Libuša, che stava cogliendo prugne nel giardino del palazzo, si recò da lui così come si trovava, fresca e bella. Intanto vennero avanti Vladomir e Mizysl, i quali con invidia chiesero ad alta voce che cosa potesse mai avere un contadino che non avevano loro. Irritata, Libuša depose il cestino di prugne davanti a tutti, e disse:

- Valorosi compagni, a ciascuno di voi ho pensato di dare una parte delle prugne che vi è in questo cestino. Il primo ne riceverà la metà più una. Il secondo la metà delle rimanenti più una. Il terzo la metà delle rimanenti più tre. Sapete dirmi quante sono in tutto le prugne?

Mizysl, impulsivo com'era, misurò ad occhio il cesto e rispose: - Vi saranno cinque dozzine di prugne.

Vladomir osservò a lungo il cestino e quindi disse: - Secondo me ce ne sono quarantacinque.

Premysl scosse il capo: - No, invece. Nel cesto vi sono trenta prugne, non una di più e non una di meno.

Libuša annuì. Tirò fuori quindici prugne dal cesto più una e le mise nel cappello di Vladomir. Delle quattordici che rimanevano, ne tolse sette più una e le mise nel cappello di Mizysl. Ce n'erano ancora sei nel cestino: ne diede a Premysl tre più altre tre. Fu così che Premysl ebbe l'amore di Libuša, e ai due pretendenti andò il cestino vuoto.


FONDAZIONE DELLA CITTA'

Libuša e Premysl si sposarono e fu così i Cechi ebbero il loro sovrano, anche se poi il governo continuava ad essere in mano alla donna. Premysl non fu solo un valente guerriero, ma anche fu un modello esemplare di consorte, che mai contese alla sua sovrana né il comando della casa né quello del paese. D'altronde le sue idee erano sempre del tutto concordi a quelle della sua sposa. Essi sedevano su un trono di pietra nella fortezza di Vyšehrad, e da quel luogo stabilivano per il paese leggi eque e giuste.

Il paese dei Cechi si arricchì in gloria e ricchezza. Molti uomini giunsero dalle terre circostanti, attirate da quel paese prospero e ridente, e la popolazione crebbe. I fitti boschi lasciarono il posto ai campi, e tra i campi mani laboriose costruivano villaggi e fortezze e castelli. E quante più fortezze c'erano nel paese, tanto meglio gli abitanti si difendevano dagli attacchi dei nemici. Gli abitanti si ritiravano dietro le mura e i terrapiani, vi accumulavano provviste, vi ammassavano il bestiame, e da dietro le mura difendevano le proprie vite e quelle delle loro famiglie.

La stirpe dei Cechi si andava rafforzando ed era necessario trovare continuamente nuove dimore. Alla domanda dove più conveniente costruire un nuovo villaggio, Libuša rispondeva così: - Stabilitevi lì dove troverete quattro elementi in armonia tra loro. Un terreno fertile dispensatore di vita, acqua pura, aria salubre e sufficiente alimento per il fuoco, lì dove gli alberi offrono legno ed ombra. Se tra questi elementi regnerà l'armonia, non ci troveremo in difficoltà.

Molte famiglie si stabilirono nella regione seguendo il consiglio di Libuša e i loro campi diedero ricchi raccolti e le loro greggi si moltiplicarono. Dai focolari delle nuove abitazioni il fumo saliva verso il cielo.

Un giorno Premysl e Libuša camminavano insieme al loro seguito sugli spalti del vecchio palazzo di Libusín. Era sera: il sole si stava abbassando sui boschi lontani, che tutto intorno avevano lasciato il posto ai campi coltivati e ai villaggi, e l'ombra del castello cadeva alle spalle del fiume. Libuša si volse verso le ombre azzurre e tiepide della notte che avanzava e all'improvviso un gran silenzio s'impossessò di tutte le cose della terra e dell'aria. Nessuno del loro seguito aprì bocca: il vento trattene il fiato e gli uccelli che avevano cantato fino a quel momento, ammutolirono nelle chiome degli alberi. Libuša levò un braccio, e come toccando qualcosa in lontananza, mosse delicatamente le dita e disse:

- Vedo una città
che sarà illustre nel mondo
e la cui gloria raggiunge le stelle.
Questo luogo è celato nelle profondità dei boschi,
a nord lo protegge la valle del Brusnice,
a sud una grande montagna rocciosa.
La Moldava si apre la strada sotto le sue pendici.
Costruite questa città, ve l'ordino,
là dove io vi indicherò.
Sulla Moldava, sotto Petrín,
un falegname fabbrichi con il figlio una soglia;
e per questa soglia chiamate la città Praga.
I popoli, seppur forti come leoni,
curveranno la testa davanti a questa soglia
per averla salva.
Così la mia città
avrà lode e gloria.
Premysl e i suoi uomini guardarono in quella direzione, ma videro solo la notte che avanzava. Poi lo spirito divinatorio abbandonò Libuša e il bagliore negli occhi si spense. E quando fu mattino, Libuša chiamò i capitribù dei vari distretti e li mandò nella direzione indicata con la raccomandazione di fermarsi dove avrebbero trovato un uomo che faceva buon uso dei denti.

I messi giunsero in un luogo chiamato Petrín, a nord del Vyšehrad, sulla Moldava, e qui trovarono un contadino e suo figlio che tagliavano un albero con una sega. Essi giudicarono che il contadino stesse appunto facendo buon uso dei denti della sega. In quel luogo sorse una grande fortezza, e un villaggio sotto la fortezza, che poi si sarebbe allargato fino a diventare la capitale del popolo ceco, e, giacché con l'albero che stava tagliando il contadino intendeva fare una soglia [in cèco prah], la città che vi sorse si chiamò Praga [Praha].



LA CULLA D'ORO

Se Libuša sapeva come scrutare nel futuro, ella anche vedeva le cose nascoste nelle profondità della terra. Disse al suo popolo quali monti nascondevano l'oro e quali l'argento, e infatti, come ella aveva detto, a Jílové trovarono l'oro e a Katná Hora l'argento, e in alcuni punti il prezioso metallo scaturiva dalla terra come una verga e non si aveva che da spezzarlo. Si narra che un uomo trovasse un giorno una pepita d'oro tanto grande che pesava più di quanto pesassero il duca e la duchessa. L'uomo inviò quel mirabile e pesantissimo pezzo d'oro a Premysl, il quale incaricò uno scultore di creare con quell'oro una statua raffigurante un uomo seduto sul trono. L'idolo venne chiamato Zelú, fu posto in una capanna di legno e lì i Cechi gli offrivano dei sacrifici in segno di riconoscenza per i doni che la terra fertile e ricca offriva loro.

Come Premysl aveva profetizzato, Libuša e Premysl ebbero tre figli dei quali sopravvisse soltanto l'ultimo, che aveva nome Nezamysl. D'oro era la culla che aveva accolto i suoi primi sogni. Ma gli anni passavano, e poiché erano anni felici, passarono in fretta. Nezamysl già cercava di tendere l'arco e di sollevare la spada del padre, e Premysl era orgoglioso di lui. Libuša, un po' triste al pensiero che il tempo correva, ordinò alle sue donne di prendere la culla d'oro di Nezamysl e di seguirla. Giunta ai piedi del Vyšehrad la duchessa si fermò in un punto dove l'acqua era profonda, tanto che la superficie appariva buia e cupa.

- Gettate la culla nell'acqua - ordinò Libuša alle donne.

Elle obbedirono e la culla sprofondò nel fiume e sparì. Solo Libuša seguì il suo lungo sprofondare nelle acque che frattanto diventavano secoli. Vide una luce fendere le profondità dei tempi, che ora era lo splendore del sole, ora il fuoco di un incendio, e udì suoni che ora erano canti e ora grida e lacrime. La culla s'inabissava sempre di più.

- Nasconditi, nasconditi! - gridò la duchessa. - E un giorno, purificata dalle lacrime di quelli che vivono sulla terra, uscirai dalle onde e mani buone ti afferreranno e deporanno dentro di te un bimbo che porterà la salvezza al suo popolo e alla sua terra.

E in silenzio la duchessa fece ritorno al Vyšehrad.

Si narra che alla fine della sua vita, Libuša si portò sulla rocca del Vyšehrad e gettò la sua corona nella Moldava stabilendo che chi l'avrebbe trovata, avrebbe potuto portarla per sempre.