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La guerra
Tornati in Estonia, Kalevipoeg e i suoi compagno trovarono la città che Olev aveva costruito, là dove un tempo si trovava la tomba di Kalev. Mura e fosse la difendevano e la gente correva oltre i suoi bastioni per ripararsi dal pericolo della guerra. Era stata chiamata Lindanisa, "seno di Linda", proprio perché, come un seno materno, la città accoglieva i suoi abitanti e li nutriva e li educava.

E poi Cavalieri Teutonici penetrarono nella terra di Viru, l'Estonia, invasero il paese e presero a devastarlo. Allora Kalevipoeg saltò a cavallo e guidò i suoi uomini alla riscossa. Là dove colpiva con la sua nuova spada, cadevano le teste come foglie in autunno. Nessuno gli poteva resistere. Il nemico venne sbaragliato.

- Amici e fratelli, - disse Kalevipoeg al suo esercito, - che la battaglia di oggi vi serva di esempio per l'avvenire. Se gli uomini si stringono insieme, essi sono come una roccia di granito contro le pressione del nemico. Che il nostro paese resti sempre vergine e libero d'ogni straniero!

DISCESA NEL PÕRGU

Tempo dopo, Kalevipoeg dovette mantener fede alla promessa fatta a Sarvik di tornare da lui per portare a termine il loro scontro. Così, trovata la strada per il Põrgu, il regno dei morti, si inoltrò di nuovo per buie caverne. I guardiani degli inferi corsero da Sarvik ad avvertirlo dell'arrivo dell'eroe. Sarvik diede ordine di sbarrargli la strada facendogli rotolare addosso dei macigni, poi flagellandolo con violenti rovesci di grandine, poi mandandogli contro un esercito demoniaco. Ma Kalevipoeg sbaragliò ogni ostacolo e continuò la sua discesa verso il centro della terra.

Allora lo stesso Sarvik si levò contro di lui dicendo: - Arrestati, omuncolo, che la battaglia tra noi proprio ora comincia a farsi seria, ladro dei miei tesori. Tu m'hai rubata la verga incantata e le mie tre fanciulle, e poi hai vuotato i miei scrigni. Vieni, se osi!

Rise Kalevipoeg e snudò la spada: - Vieni dunque e che il combattimento decida la nostra sorte. È proprio per questo che ho abbandonato la mia patria e ho forzato le porte dell'inferno!

I due avversari si afferrarono con violenza, conficcandosi gli artigli nella carne, e si scaraventarono a terra a vicenda che uno dei due possa aver ragione sull'altro. Per sette e giorni e sette notti il combattimento durò con ineguali vicende. Infine Kalevipoeg sentì le forze venirgli meno e temette per il suo destino. Poi d'un tratto ebbe una rapida visione: sua madre che faceva girare il fuso intorno al capo per poi scagliarlo a terra.

Allora afferrò Sarvik per le ginocchia, lo sollevò e lo scaraventò al suolo con tutte le sue forze, inchiodandolo con un piede a terra. Quindi, lo afferrò e lo spinse presso una roccia, dove lo incatenò con pesanti anelli di ferro.

- Il valore ha premiato la forza. Piccolo cane incatenato, non ti annoiare troppo in prigione; la foresta, le rocce e le pietre udranno il tuo lamento - disse Kalevipoeg.

- L'uovo della felicità non è stato covato abbastanza a lungo - gli rispose Sarvik. - Avanti che venga la sera, la sfortuna può ancora colpirti. Lasciati intenerire e permetti che io ripari con l'oro ai miei errori.

Se Kalevipoeg gli avesse dato ascolto, la sua sorte sarebbe stata diversa. Ma così non fu. Lasciò il Põrgu e tornò sulla terra, dove i suoi compagni lo attendevano con ansia.